lunedì 21 febbraio 2011

DOVERE DI CRITICA

Alfred Kubin, Die Todesstunde, 1900 c.
















Tra gli applausi scroscianti vorrei si iniziasse a sentire qualche fischio perché è ormai tempo di finirla con le lodi ecumeniche e ritornare ad esercitare il diritto di critica, che è esattamente l’opposto della prassi che imperversa. Va da sé infatti che la grande maggioranza dei critici continua a osannare artisti un tanto al rigo.
Leggo sempre con sospetto le recensioni che per parlale di un artista di modesta vaglia scomodano, in facili confronti, i più grandi maestri e declinano gli aggettivi sempre al superlativo: immancabile il raffinatissimo segno.
Talora avviene che le presentazioni vengano scritte con l’aiuto-consulenza dell’artista stesso, il quale è il primo a non lesinarsi le lodi, indulgendo in accostamenti di rara immodestia. Tra l’altro, vedendo, un mediocre incisore paragonato, che so, a Goya, è inevitabile che il successivo mediocre incisore, presentato dallo stesso critico della stessa galleria, non tollererà di essere da meno di Rembrandt.
Il mondo dell’arte è così complesso, dilettantesco, pieno di imprevisti, anche per essere strettamente legato a fama e denaro. Un mondo speciale, che talvolta ha qualche rassomiglianza col mondo dei prosseneti.
Il groviglio di interessi che avvolge artisti, galleristi, critici fino al garzone addetto al appendere i quadri in galleria è tale che nel settore delle arti figurative non si scrivono più recensioni in negativo, semplicemente perché si è scoperto che è più conveniente parlar bene dei frutti del proprio orto che disprezzare l’erba del vicino. Un solitario guastafeste finirebbe relegato in loggione, il bastian contrario non sarebbe comunque credibile, i rapporti sono ormai talmente viziati che si dubita di tutto. L’eccesso di lodi forsennate può provocare diffidenza o rigetto, che però scatta anche nei casi in cui il giudizio è negativo. Ci si chiede allora cosa ci sia dietro: forse l’artista sta per cambiare galleria? O il critico ha cambiato “datore di lavoro”? O forse tra critico e artista sono intervenuti fatti privati? Faide d’alcova? O cos’altro?
Ben vengano dunque le voci dissonanti dal coro. Il critico che fa seriamente e disinteressatamente il suo “mestiere” (oggi sembrerebbe una contraddizione di termini) deve porsi sempre dalla parte del fruitore, mettendolo quindi anche in guardia soprattutto se l’artista (o una manifestazione) ha il successo guidato, con lode incorporata. Così il danno è doppio perché all’esaltazione di certi artisti si contrappone la dimenticanza di altri.
Ebbene auspico un qualche ritorno della stroncatura (l’espressione è sgradevole ma difficile da sostituire), una drastica selezione fino alla tendenziosità: non deve spaventare prendere partito in tempi in cui si ciancia di tutto allo stesso modo; indirizzare le polemiche al malcostume culturale, ridicolizzare quelle iniziative, sempre numerose, di nessun interesse; stroncare solo quando si ha indebitamente successo (vuoi grazie alle campagne pubblicitarie, vuoi al potere - accademico, politico... - dell’autore, del critico o del gallerista). Per la robaccia e anche per la robetta non si dovrebbero sprecare parole e spazio.

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